Antonello Panti: The Orthopedic Surgeon

trasplant x qui.press
Maria Cristina Mancini

Maria Cristina Mancini

The way I see it, every life is a pile of good things and bad things.…hey.

Sign up to get access to exclusive content straight to your email inbox!

 

 

A vis à vis con l’ortopedia…intervista al Dott. Antonello Panti

Può capitare di inciampare nella vita, di cadere e rialzarsi. Si può lottare, aggrappandosi alla fede o alla scienza.

Oppure, si può rinunciare decidendo che non ne vale la pena…ma la rinuncia il più delle volte è frutto della paura. Così ci sono nei fatti – scriveva Ippocrate – due cose; scienza e opinione, la prima genera conoscenza, la seconda ignoranza. Per colmare questa lacuna e per la stima che si prova davanti a chi, tutti i giorni, è in trincea a lottare tra la vita e la morte, ho pensato di inaugurare la sezione Medicina con l’intervista al Dott. Antonello Panti, specialista in Ortopedia, Traumatologia e Medicina dello Sport presso l’Ospedale Santa Maria della Misericordia di Perugia sotto la direzione del Prof. Auro Caraffa. Uno stimatissimo professionista che ha passato trentacinque anni tra la sala operatoria e la corsia, ma anche un uomo di grande umiltà e sensibilità. 62 anni, un figlio e un passato da atleta, da saltatore con l’asta, parla dell’interesse per lo sport e l’attrezzistica, come “una tradizione di famiglia” e non fa mistero del suo hobby: palestra e pesistica.

Dott. Antonello Panti x qui.press  by Maria Cristina Mancini

Dott. Panti, operare in traumatologia che difficoltà comporta per il chirurgo?

Il chirurgo traumatologo affronta delle difficoltà non tanto in sala operatoria quanto fuori. In sala operatoria si riesce a gestire, con l’esperienza, il trauma al meglio tenendo sempre presente che noi siamo esseri umani e che ci possono essere dei margini d’errore. Il punto è che aggiustiamo qualcosa di rotto e questo non significa farlo nuovo. Poi, il paziente dovrà prendere coscienza che non si torna come prima con un grosso trauma subito. Noi aggiustiamo l’ingranaggio ma quello che è il “motore e il muscolo” è a carico del paziente che dovrà fare una lunga e attenta riabilitazione con volontà, sopportando il dolore che piano, piano va via, per avere un recupero funzionale che a volte non è completo perché il trauma non lo consente.

Quali casi vede più comunemente in sala operatoria?

Hipbone osso iliaco qui.press

Le fratture più comuni sono quelle trocanteriche che interessano una parte del femore dell’anziano e più prossima al bacino.

Da cosa dipende la riuscita dell’intervento nei pazienti anziani?

Un buon risultato dipende da una buona riduzione e sintesi della frattura. Oggi ci sono dei mezzi tecnici molto precisi e facili da utilizzare per cui sistemare fratture, di questo genere, è abbastanza semplice. Il problema, lo diciamo sempre, è che circa il 30 per cento dei pazienti che operiamo per fratture prossimali, muore entro l’anno per fatti intercorrenti.  La frattura non è come un ramo che si spezza, si aggiusta, l’albero non soffre e finisce lì. In questo caso, l’organismo umano e il suo apparato cardiocircolatorio subiscono uno stress importante che può comportare un aggravamento delle patologie più comuni dell’anziano, cosa che può far cedere l’organismo.

Quali sono gli interventi che si possono fare per migliorare le condizioni di questi pazienti?

Per prima cosa, bisogna operarli il più rapidamente possibile tenendo presente le condizioni generali, nelle 48 ore dal trauma sarebbe opportuno eseguire l’intervento chirurgico soprattutto per consentire al paziente un recupero più rapido. Anticamente, quando queste fratture non si operavano, o lo si faceva molto meno, i pazienti morivano per polmonite, per insufficienza respiratore o piaghe da decubito. Oggi dobbiamo operare per mettere in piedi il più rapidamente possibile.

Dopo un trauma agli arti inferiori, qual è la riabilitazione da fare e per quanto tempo


riabilitazione x qui.press
Il tempo è dipendente dal soggetto. Noi iniziamo subito la riabilitazione qui in ospedale, la seconda o la terza giornata dopo l’intervento, però se il paziente non ha la volontà di fare ginnastica come andrebbe fatta e reagire agli stimoli che il fisioterapista gli da è complicato riuscire a metterlo in piedi.

Quanti pazienti anziani operati recuperano l’autosufficienza?

È difficile dirlo…la grande maggioranza recupera. Se il paziente, prima di cadere era autosufficiente, recupera. Se lo era poco, probabilmente non recupera l’autosufficienza, ma oggi gli anziani sono spesso molto sani, a parte le fratture che vengono per osteoporosi, per cui la maggior parte recupera rapidamente.

Nella sua carriera professionale, un caso che le è rimasto impresso nel cuore e nella memoria

Le soddisfazioni maggiori ci sono quando arrivano quei casi disperati con ampie perdite di sostanza, posizioni di osso e mortificazioni di tessuto che quando s’inizia non si ha nessuna certezza del risultato. Ce ne sono svariati, ma ricordo in particolare un paziente che aveva avuto un grave infortunio per l’esplosione di un ordigno recuperato nella terra che gli aveva polverizzato più di dieci centimetri di tibia. Al paziente è stato riallungato l’arto e consentito di riformare l’osso e quindi di ritornare a camminare con la sua gamba. In altri tempi, l’avremmo amputata.

Secondo lei che caratteristiche dovrebbe avere un buon chirurgo?

Osp. S.M. Della Misericordia x qui.press

Un chirurgo prima di tutto deve essere un buon medico. E per esserlo bisogna aver la possibilità di parlare con il paziente e capirlo, in modo da avere la sua fiducia e consigliarlo per il meglio sapendo di essere ascoltati. Noi facciamo un lavoro da “falegname”… metter una vite o un chiodo di per sé è abbastanza sterile, ma questo fa parte di un organismo umano che ha una testa pensante. Avere la possibilità di stabilire un rapporto con il paziente che noi accompagneremo per molto tempo e forse anni per recuperare il problema avuto, la fiducia è essenziale e obbligatoria. Poi bisogna saper fare il lavoro. Un lavoro che è molto complicato.

Se c’è amore per l’uomo, ci sarà anche amore per la scienza…Ippocrate 

Un consiglio che darebbe ai giovani specializzandi?Dott. Antonello Panti x qui.press by Maria Cristina Mancini

Allora, io ho un figlio che ha fatto la specializzazione con me. Faccio circa 500/600 interventi l’anno, lui mi è stato vicino e ha imparato la chirurgia dall’inizio, come si fa il taglio, perché deve essere fatto in un certo modo e quali sono le strutture da rispettare.  Sul libro è facile, le vene sono blu, le arterie rosse e i nervi gialli, è tutto molto semplice, ma non hai il sangue, le strutture che coprono il grasso etc. Il consiglio è: avere tanta volontà, seguire delle persone che hanno la capacità di insegnarti senza stancarsi e studiando.

 

 

 

 

 

 

Tags