Fahrenheit 11/9

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Maria Cristina Mancini

Maria Cristina Mancini

The way I see it, every life is a pile of good things and bad things.…hey.

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Fahrenheit 11/9 di Michael Moore in concorso nella selezione ufficiale della Festa del cinema di Roma ancora una volta spiazza e conquista

Fahrenheit 11/9 del regista vincitore già di un Oscar con Bowling a Columbine nel 2003 e di una Palma d’Oro con Fahrenheit 9/11, non fa sconti a nessuno e con il tipico stile creato da Moore, a metà tra giornalismo di denuncia e satira, racconta i retroscena di quel 9 novembre di due anni fa, quando “il Donald” diventava il 45° Presidente degli Stati Uniti. Tutto sembrava procedere come da copione con la vincita dei Democratici e di Hillary Clinton ma accadde qualcosa. Quel qualcosa era lo stesso Moore e…Gwen Stefanifahrenheit-11-9-poster- qui.ptress

Il regista, inserito dal Time nel 2005 tra le 100 persone più influenti del pianeta, stava preparando un’inchiesta scottante: gli abitanti di Flint, sua città natale nel Michigan, erano stati avvelenati con l’acqua della fornitura idrica. Il misfatto cominciò nel 2013 quando il governatore Snyder fece costruire un nuovo acquedotto per tagliare il contratto di fornitura idrica dal sistema di Detroit che prelevava dal lago Huron, uno dei laghi più estesi al mondo, per attingere invece al fiume Flint. O meglio nei liquami di scarico industriale del fiume. Risultato: l’acqua aveva livelli di piombo e sostanze corrosive ben oltre il limite di guardia. Bambini e anziani cominciavano ad ammalarsi, ma le autorità rassicurarono e falsificarono i risultati delle analisi mediche. Persino la GM smise di usare l’acqua per testare i modelli perché arrugginivano la carrozzeria e i motori, ma nessuno si preoccupò delle persone.

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Anzi, li fecero continuare a bere quell’acqua fino a quando scoppiò lo scandalo. Ma che c’entra una cantante pop con l’elezione di Trump? C’entra… eccome. Il cachet che la NBC dava a Gwen Stefani per condurre The Voice era molto più alto di quello di Trump in The Apprendice che oltretutto non funzionava. Così Trump, il narcisista perverso e malefico, buttò là, quasi per gioco, l’idea di presentarsi alle elezioni. Nessuno lo prese sul serio, ma lui cominciò a crederci. Grazie ad un sistema elettorale iniquo, distorto e corrotto come quello americano riuscì nel suo intento. E quando fu eletto il 9 novembre del 2016, cominciò una delle sue tante sfilate della vergogna. Il giorno dell’investitura ufficiale aveva lo sguardo più infelice di tutti i presidenti Usa eletti fino a momento. Realizzava, incredulo lui stesso il delirio di diventare il re del mondo e per non farsi mancare niente si circondò di un corollario di predatori sessuali quale è lui stesso come collaboratori.

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Ph Gage Skidmore

Comincia così il bellissimo documentario di Moore che si snoda tra colpi di scena e inchiesta. L’arresto in flagranza di reato di Snyder, l’innaffiamento con l’acqua al piombo del giardino della sua villa ad opera dello stesso Moore, che ha interamente scritto, diretto e prodotto il lungometraggio distribuito nelle sale da Lucky Red, purtroppo rimasto in sala per soli tre giorni, è una piccola parte del film che riserva altri inediti scoop. La verità emerge condita di sarcasmo nelle interviste della gente comune, nelle proteste degli insegnanti del West Virginia, nelle truculente apparizioni di Trump e nelle sue tante dichiarazioni shock. Il documentario di Moore che definisco un apriscatole per cervelli disastrati diventa spaventosamente chiaro nel confronto con l’Europa di oggi e la Storia. Anche la Germania era un Paese d’intelligenze, eppure produsse il Nazismo e le sue conseguenze disastrose. Così quando le immagini di repertorio sovrappongono la voce e i discorsi di Trump alla figura di Hitler non ci sono più scuse per chi non conosce o fa finta di non ricordare.

“La perdita di fiducia nella democrazia diventa la nostra condanna”

dice Moore e non si può che dargliene atto. Quando oltre 100 milioni di cittadini americani decidono di non votare, la strada verso la corruzione, il sopruso e il populismo/dittatura è spianata. Il regista americano tenta di mettere in guardia e lo fa a modo suo incitando all’azione, al risveglio delle coscienze sopite, a combattere quella parola che appare tanto nel film COMPROMESSO, compromesso, compromesso. Ma il cuore non può tacere quando tra gli intervistati appare Ben Ferencs, novantanove anni, uno dei giudici del processo di Norimberga e tra i promotori della Corte penale internazionale. Con le lacrime agli occhi, rassegnato evidenzia l’amara situazione del suo Paese e il rischio che corre il mondo intero e che lui ha già visto.

Ecco perché Moore in Fahrenheit 11/9, con i suoi testimoni non fa sconti a nessuno, né ai Repubblicani né ai Democratici. Nel incontro ravvicinato con il pubblico della Festa del Cinema di Roma edizione n. 13, non esita ad ammettere di aver votato Obama per la seconda volta con la lacrima che scendendo macchiò la scheda elettorale.

michael-moore_red-carpet-moore qui.pressNon esita a definire G. W. Bush peggio di Trump e invita tutti a fare qualcosa che rompa l’incantesimo ora più che mai nelle elezioni di medio termine. Incita anche l’Italia a riappropriarsi della propria identità, specificità e bellezza che non vuol dire razzismo, sessismo, violenza e corruzione. Allora se per gli storici americani la democrazia, intesa in senso ampio, è di fatto una conquista che parte dal 1970 vuol dire che oggi è ancora di più un’aspirazione. Moore mette in guardia, tecnicamente in modo mirabile, da tutti i pericoli con il suo stile unico e dissacrante che meriterebbe una visione d’obbligo per tutti dai sei ai novantanove anni.

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