Kursk il film di una tragedia annunciata

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Maria Cristina Mancini

Maria Cristina Mancini

The way I see it, every life is a pile of good things and bad things.…hey.

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 Tutti quelli che vivono in mare a bordo di navi provano una sorta di fratellanza ma questo sentimento è particolarmente forte tra i sommergibilisti

Quando il 12 agosto del 2000 Kursk, il sottomarino russo a propulsione nucleare K-141 affondò nel mare di Barents con i suoi 118 membri dell’equipaggio, molti erano in vacanza.  Anche il neo presidente eletto Putin lo era. Il fatto fu così tragico che rimbalzò nelle cronache di tutto il mondo tenendo con il fiato sospeso europei, russi, inglesi e americani. Furono nove giorni di agonia, ostacoli burocratici, inadempienze inaccettabili che costarono la vita a quei marinai e lo smacco alla Russia la quale rifiutò gli aiuti delle altre nazioni fino a quando fu troppo tardi.

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La storia è diventata un meraviglioso film drammatico, Kursk di Thomas Vinterberg, in sala da febbraio, con un cast di grandi attori europei. Finalmente un bel lungometraggio Made in Eu prodotto da Luc Besson con EuropaCorp e Ariel Zeïtoun e attori internazionali come il belga Matthias Schoenaerts, protagonista nella parte del Comandante del Compartimento 7 del Kursk, Mikhail Averin, Léa Seydoux nel ruolo di Tanya la moglie incinta, Colin Firth che interpreta il commodoro David Russell della Royal Navy britannica e l’austriaco Peter Simonischek, l’ammiraglio Gruzinsky.  L’unico interprete russo non professionista è il piccolo Artemiy Spiridonov, Misha, lo sguardo innocente del film attraverso cui si restituisce ancora di più la verità di una tragedia annunciata, tanto che è proprio lui ad aprire il film e lo chiude con un atto di ribellione non violenta ma significativa.

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Kursk è un lungometraggio epico tratto dal libro di Robert Moore A Time to Die: the Untole Story of the Kursk Tragedy che analizza le prove forensi e le ultime ore di vita dei marinai. Kursk è un capolavoro di mediazione tra la realtà e la finzione, dove la sensazione che prevale è più quella della verità dei fatti che non della fiction. Un film che si snoda attraverso tre punti di vista ben definiti sceneggiati dal premio Oscar Robert Rodat (Salvate il soldato Ryan); quello dei militari, delle autorità governative e quello dei civili, ma su tutto prevale il concetto di fratellanza, solidarietà e lealtà dei sommergibilisti e il legame con i familiari. L’equipaggio del Kursk è, di fatto, una famiglia che pur addestrata alla responsabilità e al rischio ha un forte di senso di comunità, valori alti come la lealtà, l’umanità, la forza di voler salvare altri compagni, ma è anche il sacrificio di chi crede nel proprio Paese ed è qui lo snodo centrale. Poiché davanti alla tragedia del Kursk non si alzarono le barriere, non ci fu l’egoismo nazionalista, ma si alzò il muro dell’impotenza. Anzi. Gli aiuti offerti da tante nazioni, Stati Uniti e Giappone compresi, vennero accettati dalle squadre norvegesi e inglesi quando per i 23 sopravvissuti, non ci fu più niente da fare.

La fratellanza, la solidarietà e i legami familiari sono la spina dorsale del film (T. Vinterberg)

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Questo è raccontato con abilità cinematografica, puntando su una riflessione più profonda: la dimensione del tempo, la vita e la morte. Pensate un sommergibile due volte più grande di un jet e più lungo di due campi da football, l’ultimo sprazzo di orgoglio della Flotta del Nord della Marina russa che, in un’esercitazione navale, a causa del malfunzionamento di un siluro, scoppia nel fondo del Mar di Barens a centro metri di profondità…cosa succede? Intanto, qualcosa di simile a una scossa tellurica.  Poi il silenzio. Quei flebili segni di vita che arrivarono in superficie non furono sufficienti a far scattare aiuti solerti ed efficaci, ma solo la macchina della burocrazia. I tentativi di soccorso non andarono a buon fine, e anche se il film non ha assolutamente un connotato politico, ricordiamoci che la disgregazione dell’Unione Sovietica era avvenuta appena nove anni prima. Come poteva la Russia salvare 118 vite se stava ri-assemblando un Paese intero di oltre 146 milioni di persone? Kursk del regista danese è un film molto costoso e difficile da girare ma il risultato ne vale la pena. Le scene sono state realizzate per la maggior parte ad Anversa e nelle basi militari della Marina francese, in un vero sottomarino e con la ricostruzione dei compartimenti del sommergibile con accorgimenti scenografici creativi. Alcune sequenze sono lunghe eppure cariche di suspence, e appassionano tanto da far sentire lo spettatore parte di quel equipaggio.

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Girato per lo più sotto l’acqua, senza tagli, tengono attaccato allo schermo lo spettatore, fanno salire l’emozione e la speranza di un lieto fine che non ci sarà. Così la colonna sonora di Alexandre Desplat che inizialmente è un coro religioso, con qualche accenno al concerto dei Metallica nel 1991 a Mosca, diventa la chiusa perfetta per questo film che solo una produzione non di parte poteva realizzare. Paradossalmente, la tragedia del Kursk segnò la fine della stampa libera in Russia, ma ora più che mai s’impone una riflessione. Il cinema in questo aiuta e in attesa della distribuzione anche nel Paese dello Zar, si può sicuramente affermare che Kursk è uno dei film più belli presentati alla Festa del cinema di Roma edizione 2018.

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